MARIA MADRE DI DIO
1 Gennaio
Nm 6, 22-27
Lc 2, 16-21
La
festa di Santa Maria Madre di Dio è collocata nel calendario liturgico subito
dopo il Natale. Così non rischiamo d’isolare Maria, sminuendo l’importante
missione di lei in rapporto con Cristo suo Figlio e con la Chiesa. Le
celebrazioni natalizie sono state un’occasione per contemplare la vicinanza e
la tenerezza di Dio, il quale condivide la nostra condizione umana e il cammino
che noi facciamo nella storia. Al centro di questo mistero Maria è il
paradigma dell’umanità. Ella si apre al dono di Dio, rappresentando l’incarnazione dell’ideale
dei poveri di Iahvè, il modello del
discepolo che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica. Il nuovo
millennio si apre sotto il segno della benedizione divina (prima lettura) e sotto lo sguardo
amorevole della madre di Cristo, “nato da donna, nato sotto la legge” (seconda lettura).
Oggi, il primo giorno del nuovo anno, è anche dedicato
tradizionalmente alla pace, il gran dono messianico, lo shalom biblico. Incominciamo questo cammino implorando la
pace e l’unità per la Chiesa e per tutta la famiglia umana: desiderio ardente
che trova la sua massima espressione nella celebrazione dell’eucaristia.
La prima lettura
(Nm 6, 22-27) è una bellissima formula di
benedizione che il Signore attraverso Mosè affidò ai sacerdoti perché la
pronunciassero sul popolo (vv. 22-23). Questa è la stessa benedizione che
ancora oggi usano i nostri fratelli ebrei nelle celebrazioni della sinagoga.
Queste parole non sono un semplice desiderio o una formula rituale di saluto.
E’ Dio stesso chi ha rivelato questa benedizione, con la quale lui si
dona al suo popolo. Così suona il v. 27 letteralmente: “Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”. La benedizione
sacerdotale spinge il popolo a partecipare del Nome di Dio, vale a dire, del
suo dinamismo vitale, della sua fecondità, del suo mistero santo. La
benedizione nel senso biblico non è semplicemente una dichiarazione di buona
volontà, ma qualcosa efficace nella vita dell’uomo; essa scatena una novità,
produce un evento. Il testo mette la benedizione in rapporto con il volto di
Dio: “Il Signore faccia splendere il suo volto
su di te”, “il Signore ti mostri il suo volto”.
Nel mondo biblico vedere il volto è vedere la persona; e vedere il volto di
qualche persona importante (un re, ad esempio) significa essere accolti
favorevolmente. Dire dunque che Dio “fa splendere il suo volto” oppure “mostra
il suo volto” è affermare che egli è pronto a manifestare al popolo la sua
benevolenza e il suo favore, in definitiva, la sua pace. La pace (in ebraico, shalom)
rappresenta in sé tutti i doni di Dio: protezione, sicurezza, fecondità,
salute, benessere. Israele è il popolo di Dio perché gode della benedizione di
Dio, per mezzo della quale l’uomo partecipa dell’amore gratuito di Lui e della
sua stessa vita. La benedizione divina è portatrice di pace e di misericordia,
di vita e fecondità. L’uomo benedetto da Dio è chiamato a diventare un “uomo
santo”, perché prende parte alla stessa santità di Dio ed è stato invitato a
collaborare in maniera intima al suo progetto salvifico.
La seconda lettura
(Gal 4, 4-7) fa riferimento alla Madre di Gesù
solo indirettamente. Afferma Paolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna,
nato sotto la legge…” (Gal 4, 4). Il testo evoca in primo luogo la lunga storia
degli interventi di Dio “nel tempo” dell’umanita, fino alla “pienezza del
tempo”, il culmine della storia salvifica, quando il Padre manda suo Figlio nel
mondo. Proprio in questo momento decisivo e pieno della redenzione, Paolo
menziona la nascita di Cristo nella carne (“nato da donna”). Questa donna è
Maria, posta al centro stesso del progetto salvifico di Dio. In lei, il
Messia-Figlio di Dio diviene vero “fratello” nostro (Eb 2, 11), condividendo la
nostra carne e il nostro sangue (Eb 2, 14). Maria è Madre di Dio. Quindi credere
nella sua maternità divina significa proclamare con certezza l’infinito amore
di Dio per gli uomini, manifestatosi nell’incarnazione. Inoltre, se essere
cristiani significa accogliere nella propria vita la Parola eterna di Dio che
si è fata carne, Maria occupa un posto veramente particolare nella vita della
comunità cristiana: lei portò nel suo grembo Gesù, Messia e Salvatore, lo
allevò, lo educò e lo introdusse nelle tradizioni del popolo scelto; lei lo
seguì con fede fino alla croce e divenne la prima credente del nuovo Israele.
Il vangelo (Lc 2, 16-21) costituisce l’ultima parte della narrazione
della nascita di Gesù (in Lc 2). Dopo aver ricevuto l’annunzio dell’angelo i pastori
si avviano “in fretta” (verbo speudô)
verso Betlemme (v. 16), dimostrando così la loro docilità ai sentieri di Dio,
proprio come prima aveva fatto Maria dirigendosi “in fretta” (sostantivo spoudé) verso la casa d’Elisabetta (Lc
1, 39). Maria e i pastori obbediscono con prontezza al progetto
divino, il quale oggi si realizza e dinanzi al quale non è permesso nessun
ritardo o trascuratezza. Questo è l’atteggiamento del credente che vive aperto
ai sentieri del Signore ed è docile alle sue ispirazioni.
Ciò che
è annunziato dall’angelo corrisponde esattamente alla realtà dei fatti (vv.
15-17): i pastori “trovarono Maria, Giuseppe e il bambino, che giaceva nella
mangiatoia” (v. 17). Allora coloro che prima sono stati i destinatari della
nuova novella (Lc 2, 10: verbo euaggelízomai)
adesso diventano i propagatori di essa, ed incominciano “a riferire ciò che del
bambino era stato detto” (v. 17). “Tutti quelli che udirono, si stupirono delle
cose che i pastori dicevano” (v. 18). La gente si stupisce (greco, thaumazein). Questa è la reazione
normale di chi sperimenta l’azione di Dio, come Zaccaria (Lc 1, 21), Maria e
Giuseppe (Lc 2, 23), gli abitanti di Nazaret (4, 22; cf. 9, 43; 11, 14.38; 20,
26; 24, 12.41). Tuttavia, si mette in risalto l’atteggiamento di Maria: “
da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (v. 19). Il
verbo greco tradotto come “serbare” è syntêreô,
che letteralmente vuol dire “custodire qualcosa preziosa”, “curare
delicatamente qualcosa di valore”. L’altro verbo tradotto come “meditare” è il
verbo greco symballô, che
letteralmente vuol dire: “mettere due cose insieme”, “unire delle realtà
staccate”, “confrontare”. Ciò suppone un’attività mentale e un atteggiamento
dello spirito che crea sintesi, che riesce a trovare una logica in mezzo alle
cose o situazioni apparentemente senza collegamento. Il tempo del verbo greco è
imperfetto: indica un’azione ripetuta, continua. Lucca, quindi, descrive Maria
come colei che vive all’ascolto del Mistero e, con grand’attitudine
contemplativa, legge continuamente gli eventi, per scoprire il loro senso più
profondo. Maria è qui vera interprete, ermeneuta, dei fatti accaduti. Così
l’evangelista osserva che la Madonna non aveva capito tutto fin dall’inizio e
che soltanto col trascorrere del tempo e badando ai fatti, comprende pian
piano la logica intrinseca degli eventi e il loro senso. Maria ripensa tutto
ciò che è capitato nella sua vita per opera di Dio, e collegando tutti i fatti
va scoprendo i sentieri del Signore e la sua volontà.
Quest’atteggiamento profondamente contemplativo si realizza nel “cuore”, sede
del discernimento, dell’esercizio intellettuale e, soprattutto, della fede
aperta ai progetti di Dio. Il testo finisce con la glorificazione e la lode dei
pastori, che hanno potuto sperimentare ciò che Dio gli ha annunziato (v. 20).
La
figura di Maria, interprete dei fatti storici e contemplativa davanti alle
azioni di Dio, è modello per tutti i credenti; questi sono chiamati a scoprire
il mistero e la presenza del Dio della vita nel quotidiano e l’ordinario di
ogni giorno. Maria, la madre di Gesù, è maestra di vita interiore, di preghiera
e d’ascolto della Parola. Lei ha accolto la parola di Dio nella sua vita, l’ha
lasciata risuonare nell’intimo, dalle prime parole dell’angelo fino a quelle
ultime di Gesù nella croce. Maria ha saputo trovare momenti di silenzio per
adorare e meditare. Lei c’insegna a guardare la vita con il cuore, contemplando
con fede ciò che Dio attua in noi e attorno a noi. Maria rappresenta il punto
d’arrivo dell’esperienza religiosa dei poveri
di Iahvè, i quali aspettavano con fede e umiltà la venuta del
messia-salvatore. Lei è il modello d’Israele, il culmine
dell’esperienza credente del popolo dell’antica alleanza, ma anche il
modello del discepolo del Nuovo Testamento. Guardare la Madre del Signore è
capire ciò che noi siamo e siamo chiamati ad essere, come credenti che
cerchiamo di dire di sì a Cristo ogni giorno della nostra esistenza. Maria è l’Abramo del Nuovo Testamento, che esce senza sapere dove va e si abbandona
totalmente a Dio e ai suoi progetti. Maria, “serva del Signore”, rappresenta
ciò che dev’essere ogni discepolo di Cristo e la Chiesa di tutti i tempi. La
Chiesa del terzo millennio dovrà vivere la sua santità e la sua fedeltà
nella vita giornaliera, come Maria, senza cercare nessuna grandezza, né alcun
segno straordinario. La Chiesa, come Maria, dovrà vivere di povertà e di fede,
senz’ambizione di potere, vicina e solidale con i poveri di
questo mondo, che come Maria sono l’oggetto dell’amore prediletto di Dio. Una
Chiesa radicata nella fede, la quale non sia semplicemente un’organizzazione
religiosa, con maggior o minor potere, ma una comunità consacrata alla
realizzazione del progetto di Dio, che cerca nel buio i sentieri misteriosi di
Lui; una comunità che si affida senza riserve e mette al centro della sua vita
la Parola di Dio. Una comunità che si riconosce serva di Dio e mai pretende di usurpare il
Suo posto o ridurre il Suo mistero. Una Chiesa, infine, che come
Maria, serva di Dio e degli uomini, cammina con fiducia infinita nel Signore in
mezzo agli ostacoli, le infedeltà, i tradimenti e le persecuzioni della storia.