TERZA DOMENICA D’AVVENTO

(Ciclo c)

 

Sofonìa 3,14-18

Filippesi 4,4-7

Luca 3,10-18

 

L’annuncio gioioso della presenza e della vicinanza di Dio attraversa l’intero lezionario di questa terza domenica d’avvento. Sofonìa ripete due volte: “Il Signore è in mezzo a te!” (Sof 3,15.17); nel salmo responsoriale cantiamo: “...perché grande in mezzo a voi è il Santo d’Israele”; Paolo scrive ai Filippesi: “Il Signore è vicino!” (Fil 4,5); il Battista proclama: “viene uno che è più forte di me” (Lc 3,16). E’ una presenza questa che genera gioia e vita ed è allo stesso tempo esigente. Il vangelo di oggi ripete per ben tre volte il verbo “fare”, con il quale si accoglie la vicinanza di Dio, la si rende concreta, vivendo con responsabilità e praticando la giustizia (Lc 3,10-14).

 

La prima lettura (Sof 3,14-18a) è un canto diretto a Gerusalemme, che sarà ricostruita come città nella quale il Signore abiterà come re e salvatore. Il testo inizia con una serie di imperativi che invitano alla gioia: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme” (v.14). Con l’appellativo di “figlia di Sion” viene indicata la città di Gerusalemme e ci si riferisce ai suoi abitanti. La causa di questa gioia è la distruzione del “suo nemico” (cfr. v.15a), nel quale probabilmente sono da vedere i capi e le guide della città che con il loro comportamento orgoglioso e violento sono diventati avversari della città stessa. Questa prima parte del canto termina con un’affermazione importante: “Re d’Israele è il Signore in mezzo a te” (v.15b). Dopo aver sperimentato le oscurità e i limiti della monarchia e delle altre autorità, che spesso si erano rivelate agenti d’ingiustizia, il profeta afferma che non resta altra soluzione: il Signore ritornerà ad essere il re d’Israele. Il potere di Dio libera dalla paura. Per questo nel v.16 è lo stesso Signore che si dirige alla città: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!”. Insieme al sentimento della paura, viene evocata la paralisi che essa provoca. Molte volte il timore invade tutta la persona e la rende impotente. La presenza del Signore, però, “in mezzo a te”, come “salvatore potente” (v.17a), libera gli abitanti di Gerusalemme da ogni paura e apre loro una prospettiva di gioia. Nella seconda parte del v.17 viene ripreso il tema della gioia, però con un significativo cambio di soggetto. Già non è la città ma il Signore che sperimenta una profonda gioia. I sentimenti della città sono ora quelli di Dio, che partecipa pienamente della sua gioia: “Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa”. La gioia del popolo e la gioia di Dio diventano una sola.

 

La seconda lettura (Fil 4,4-7) contiene un’esortazione appassionata di Paolo a “rallegrarsi nel Signore” (v.4). Si tratta, pertanto, di una gioia che scaturisce dalla esperienza profonda di Cristo, morto e risorto. Alla base della gioia cristiana non si colloca un ottimismo semplicista e facile, ma la coscienza di vivere uniti a Cristo e di partecipare alla sua vita. Perciò, questa gioia è possibile anche in mezzo alle difficoltà della vita, perché proprio in questi momenti il credente scopre e vive il mistero della croce del Signore, così che queste situazioni si presentano ricche di significato positivo; ricche, cioè,  di una vita che sorge dalla morte. Dopo un’esortazione alla bontà, Paolo afferma ciò che è la radice della speranza cristiana: “Il Signore è vicino!” (v.5). Ogni cristiano vive aperto nei confronti di questo futuro di pienezza che è il ritorno del Signore. La venuta liberatrice di Cristo deve essere vissuta in costante vigilanza, preparandoci all’incontro definitivo con Lui. Il testo termina con un invito a superare qualsiasi angustia o situazione d’ansietà e inquietudine: “Non angustiatevi per nulla” (v.6). Il verbo greco utilizzato è merimnan, lo stesso che Gesù utilizza nel sermone della montagna; si può quindi pensare che Paolo voglia evocare una parola di Gesù: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete...” (Mt 6,25). Al posto della agitazione inutile, il cristiano ricorre alla preghiera: “in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti”. Il cristiano vive con la convinzione di essere nelle mani di Dio, il quale ascolta sempre la nostra preghiera e fa scaturire dalle nostre labbra l’azione di grazie. Paolo conclude facendo allusione alla “pace di Cristo”, che è l’esperienza della riconciliazione e della protezione che salva del Signore.

 

Il vangelo (Lc 3,10-18) di oggi presenta due centri d’interesse. Il primo fa riferimento all’attesa del popolo; il secondo all’annuncio del Messia già vicino.

(a) L’attesa del popolo (vv. 10-14). E’ importante sottolineare in questo testo di Luca l’affermazione del v.15: “Il popolo era in attesa”. Un’attesa che si concretizza nella domanda che diversi gruppi sociali fanno al Battista: “Che cosa dobbiamo fare?” e che Luca ripete tre volte (vv.19.12.14). E’ la stessa domanda che nel libro degli Atti degli Apostoli la gente dirige a Pietro dopo il discorso di Pentecoste (At 2,37). Alcuni anzi pensano che l’espressione apparteneva al rituale battesimale della Chiesa primitiva. Giovanni risponde ad ogni gruppo in modo dettagliato, secondo la loro propria condizione sociale e le funzioni di ciascuno. L’accoglienza gioiosa del Messia, che stava per giungere, era possibile solo attraverso la condivisione dei propri beni e la pratica della giustizia e della carità nei confronti dei più poveri e bisognosi della società (vv.11-14). Aprirsi al Regno di Dio significa superare il disinteresse per gli altri, impegnarsi a cambiare il proprio cuore egoista e le strutture ingiuste di questo mondo. Solo attraverso una fede che si manifesta attraverso l’agire giusto e solidale è possibile riconoscere e accogliere il Messia che sta per arrivare.

(b) L’annuncio del Messia già vicino. Al popolo che “era in attesa”, Giovanni annuncia la venuta del Messia. Egli non battezza con acqua come Giovanni nel Giordano, ma “in Spirito Santo e fuoco” (v.16). Egli farà sì che l’umanità intera si possa immergere nel fuoco purificatore e trasformatore del dinamismo dell’amore e della vita di Dio, che è lo Spirito. Nell’opera di Luca, questo “battesimo nello Spirito” avviene a Pentecoste (At 2; cf. At 1,5; 11,16) ed è un’esperienza che renderà capaci i discepoli d’annunciare la buona novella a tutti i popoli della terra. Giovanni, inoltre, descrive con parole del profeta Malachia la futura missione di Cristo: “Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile” (v.17). Cristo è presentato come Giudice. Il Messia ha funzione di separare il grano dalla pula, di raccogliere il grano buono e bruciare la paglia. E’ questa un’immagine biblica famosa che si riferisce al giudizio di Dio alla fine dei tempi. Cristo, come dice il vecchio Simeone nella sua profezia, “Egli è qui per l rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34b-35).

 

La presenza del Messia è una presenza esigente. Cristo certamente farà presente sulla terra il perdono e l’amore di Dio; comunque, questo non esclude “il giudizio”. Il Signore è anche il giudice giusto e l’accusatore delle nostre ipocrisie (Mt 23). E’ importante prepararsi al Natale con serietà. Dobbiamo aprirci con fiducia all’amore di Dio che nel bambino di Betlemme si fa vicino all’umanità e ad ogni uomo per inaugurare “i cieli nuovi e la terra nuova”. Il Natale però è anche un tempo propizio per convertirci al Regno di Dio, per mezzo di una fede viva che si manifesti nella carità e nella giustizia.