SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO

(Ciclo C)

 

 

Genesi 14,18-20

1Corinzi 11,23-26

Luca 9,11b-17

 

 

            La prima lettura di oggi costituisce una specie di prefigurazione sacerdotale-eucaristica nella persona di Melchisedek; la seconda lettura ci fa passare dall'immagine alla realtà, attraverso la catechesi eucaristica di Paolo alla comunità di Corinto; finalmente, il vangelo ci ricorda che l'eucarestia è e deve essere sempre espressione e fonte di carità: nasce dall'amore di Cristo e diventa fondamento dell'amore tra i fedeli riuniti intorno al Pane donato da Gesù e distribuito dai suoi discepoli tra i fratelli. L'eucarestia sostiene tutta la vita della comunità credente: mentre rendiamo presente "l'amore sino alla fine" per mezzo del quale Gesù offrì la sua vita sulla croce (passato), c’impegniamo a formare un solo corpo, animato dalla fede e dalla carità solidale (presente), "finché egli venga" [1Cor 11,26] (futuro).

 

            La prima lettura (Gn 14,18-20) è un antico testo, originariamente forse solo di natura politico-militare, in cui il misterioso personaggio di Melchisedek, re di Salem, offre ad Abramo un po’ di pane e di vino. Si tratta di un gesto di solidarietà: attraverso quell’alimento, Abramo e i suoi uomini possono riposarsi al ritorno della battaglia contro quattro re (Gn 14,17). Il passaggio, tuttavia, sembra contenere una scena di carattere religioso, essendo Melchisedek un sacerdote secondo la prassi teologica orientale. Il gesto potrebbe contenere una sfumatura di sacrificio o di rito di azione di grazie per la vittoria. Il v.19, in effetti, conserva le parole di una benedizione. Le parole di Melchisedek e il suo gesto rappresentano una nuova luce sulla vita di Abramo: i suoi nemici sono stati sconfitti e il suo nome è lodato da un re-sacerdote. Il capitolo 7 della Lettera gli Ebrei ha costruito una riflessione intorno a Cristo Sacerdote proprio alla luce di questo misterioso testo della Genesi, secondo la linea teologica già presente nelle parole che il Salmo 104,4 dirige al re-messia: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di melchisedek".

 

            La seconda lettura (1Cor 11,23-26) appartiene alle catechesi che Paolo dirige alla comunità di Corinto, a proposito delle celebrazioni delle assemblee cristiane, nelle quali i più potenti e ricchi umiliavano e disprezzavano i più poveri. Paolo approfitta di questa opportunità per ricordare un’antica tradizione che ha ricevuto sulla cena eucaristica, visto che il disprezzo, l’umiliazione e la mancanza d’attenzione verso i poveri nelle assemblee stava distruggendo alla radice il significato più profondo della Cena del Signore. Egli si colloca così in sintonia con i profeti dell’Antico Testamento che avevano condannato con forza il culto ipocrita che non era cioè accompagnato da una vita di carità e di giustizia (cf. Am 5,21-25; Is 1,10-20), così come d’altronde fece Gesù (cf. Mt 5,23-24; Mc 7,9-13). L’Eucaristia, memoriale della consegna d’amore di Gesù, deve essere vissuta dai credenti con lo stesso spirito di donazione e di carità con il quale il Signore “consegnò” il suo corpo e il suo sangue sulla croce “per voi”. La lettura paolina ci ricorda le parole di Gesù nell’ultima cena, con le quali il Signore interpretò la sua futura passione e morte come “alleanza nel suo sangue” (cf. 1Cor 11,25) e

“corpo, che è per voi” (1Cor 11,24), mistero d’amore che si attualizza e si fa presente “ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice” (1Cor 11,26).

            La celebrazione eucaristica abbraccia e riempie tutta la storia dandole un significato nuovo: fa presente realmente Gesù nel suo mistero d’amore e di donazione sulla croce (passato); la comunità, obbediente al comando del Signore, dovrà ripetere continuamente il gesto della cena mentre duri la storia “in memoria di me” (1Cor 11,24) [presente];  e lo farà sempre nell’attesa del suo ritorno glorioso “finché egli venga” (1Cor 11,26) [futuro]. Il mistero dell’istituzione dell’Eucaristia nasce dall’amore di Cristo che si consegna per noi e, per tanto, dovrà sempre essere vissuto e celebrato nell’amore e nella donazione generosa, ad immagine del Signore, senza divisioni o ipocrisie.

 

            Il vangelo (Lc 9,10-17) racconta l'episodio della moltiplicazione dei pani, che appare con diverse sfumature anche negli altri vangeli (due volte in Marco!), fatto questo che dimostra non solo che l'evento possiede un alto grado di storicità, ma che è anche fondamentale per comprendere la missione di Gesù.

            Gesù è vicino a Betsaida ed ha di fronte a sé una grande folla di gente povera, malata ed affamata. E' a questo popolo emarginato ed oppresso che Gesù si dirige parlando loro del regno di Dio e guarendo chi aveva bisogno (cf. v.11). A continuazione Luca aggiunge un dato importante con il quale viene introdotto il dialogo tra Gesù e i Dodici: "Il giorno cominciava a declinare" (v.12). Il momento ricorda l'invito dei due pellegrini che camminavano verso Emmaus precisamente al tramonto: "Rimani con noi perché si fa sera" (Lc 24,29). Nei due episodi la benedizione del pane avviene al tramonto del giorno.

            Il dialogo tra Gesù e i Dodici mette in evidenza due prospettive. Da una parte, gli apostoli che vogliono inviare la gente verso i villaggi vicini affinché comprino da mangiare, propongono una soluzione "realista". In fondo pensano che è bene dare gratis la predicazione ma che è giusto poi che ognuno si preoccupi della sfera materiale della sua vita. La prospettiva di Gesù, invece, rappresenta l'iniziativa dell'amore, della gratuità totale, e la prova incontrovertibile che l'annunzio del regno abbraccia anche la soluzione alle necessità materiali della gente. Alla fine del v.12, il lettore si rende conto che tutto sta avvenendo in un luogo desertico. Questo ricorda senza dubbio il cammino del popolo eletto, attraverso il deserto, dall'Egitto verso la terra promessa, epoca nella quale Israele sperimentò la misericordia di Dio attraverso grandi prodigi, come per esempio il dono della manna. L'atteggiamento dei discepoli ci ricorda le resistenze e l'incredulità di Israele di fronte al potere di Dio che si concretizza attraverso innumerevoli opere salvifiche in favore del suo popolo (Es 16,3-4).

            La risposta di Gesù: "Dategli voi stessi da mangiare" (v.13) non solo è provocatoria, data la poca quantità di cibo, ma soprattutto cerca di mettere in rilievo la missione dei discepoli all'interno del gesto misericordioso che Gesù realizzerà. I discepoli, quella sera, vicino a Betsaida e lungo tutta la storia della Chiesa, sono chiamati a collaborare con Gesù preoccupandosi di trovare il pane per i propri fratelli. Dopo che i discepoli fecero sedere la gente, Gesù "prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzo e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla" (v.16). Il gesto di "levare gli occhi al cielo" evidenzia l'atteggiamento orante di Gesù che vive in permanente comunione con il Dio del regno; la benedizione (la berakhá ebraica) è una preghiera che, allo stesso tempo, esprime gratitudine e lode per il dono che si è ricevuto o si sta per ricevere. E' significativo notare che Gesù non benedice gli alimenti, poiché per lui "tutti gli alimenti sono puri" (cf. Mt 7,19), ma benedice Dio per essi, riconoscendolo come la fonte di tutti i doni e di tutti i beni. Il gesto di spezzare il pane e distribuirlo ricorda indiscutibilmente l'ultima cena di Gesù, nella quale il Signore riempie di nuovo significato il pane e il vino della cena pasquale, facendoli segno sacramentale della sua vita e della sua morte, come dinamismo di amore portato all'estremo per i suoi.

            Alla fine, tutti sono sazi e avanzano dodici ceste (v.17). Il tema della "sazietà" è tipico del tempo messianico. La sazietà è la conseguenza dell'azione poderosa di Dio nel tempo messianico (Es 16,12; Sal 22,27; 78,29; Ger 31,14). Gesù è il grande profeta degli ultimi tempi, che ricapitola in sé le grandi azioni di Dio che alimentò il suo popolo nel passato (Es 16; 2Re 4,42-44). Le dodici ceste che avanzano non solo sottolineano l'eccesso del dono, ma evidenziano anche il ruolo dei "Dodici" come mediatori dell'opera salvifica. I Dodici rappresentano il fondamento della Chiesa, sono come la sintesi e la radice della comunità cristiana, chiamata a collaborare attivamente affinché il dono di Gesù possa raggiungere tutti gli uomini.

            Nel testo, come abbiamo visto, si sovrappongono diversi livelli di significato. Il miracolo realizzato da Gesù lo presenta come il profeta degli ultimi tempi. Allo stesso tempo l'evento anticipa il gesto realizzato da Gesù nell'ultima cena, quando il Signore dona alla comunità nel pane e nel vino il segno sacramentale della sua presenza. D'altra parte, il dono del pane nel deserto inaugura il tempo nuovo della fraternità, che prefigura la pienezza della comunione escatologica. Inoltre si mette in evidenza, come abbiamo segnalato in precedenza, il ruolo essenziale dei discepoli di Gesù, come mediatori del regno. Attraverso coloro i quali crediamo nel Signore dovrebbe arrivare a tutti gli uomini il pane del benessere materiale che permette una vita degna di figli di Dio, il pane della speranza e della gratuità dell'amore e soprattutto il pane della Parola e dell'Eucarestia, sacramento della presenza di Gesù e del suo amore misericordioso a favore di tutti gli uomini.