(Ciclo B)
Il
lezionario biblico di questa
domenica si apre con il celebre oracolo della “nuova alleanza” (Gr 31,31-34),
uno dei vertici più alti della teologia dell’Antico Testamento (prima lettura). Il profeta annuncia il
superamento dell’antico patto del Sinai, per mezzo di un’azione gratuita di Dio
che trasforma l’uomo, incidendo la sua legge non già sulla pietra, ma nel cuore
di ognuno. Questa novità si realizza nella Pasqua di Cristo, per mezzo della
quale Dio stabilisce un’alleanza nuova con l’umanità, non sancita
più con
sacrifici di animali, ma con l’obbedienza e l’oblazione del Figlio, vittima e
sacerdote (seconda lettura). Nell’ora
della croce, Cristo è glorificato, attirando tutti a sé. Egli è il chicco di
grano che cade in terra e muore per produrre il frutto della vita, nella storia
dell’umanità (vangelo).
La prima lettura
(Gr 31,31-34) rappresenta una promessa unica.
In tutto l’Antico Testamento, solo qui si trova l’espressione “nuova alleanza”,
alla quale si riferirà Gesù nell’ultima cena (cf. 1Cor 11,25; Lc 22,20). La
storia d’Israele aveva dimostrato l’incapacità del popolo di mantenersi fedele
all’alleanza, stabilita sul Sinai. Più di una volta, il pio israelita aveva
elevato al Signore questa preghiera: “Per
il tuo nome non abbandonarci, non rendere spregevole il trono della tua gloria.
Ricordati! Non rompere la tua
alleanza
con noi” (Gr 14,21). Questo oracolo profetico annuncia che il Signore ha
ascoltato la supplica a proposito dell’alleanza e ora fa una nuova offerta,
generosa e gratuita, nonostante le molteplici infedeltà storiche d’Israele (Gr
31,32). L’attenzione, nel testo, cade sull’aggettivo “nuova”. Non si tratta
della ripetizione di ciò che è antico. La novità consiste che ora, la legge si
incide non un oggetto esteriore (le tavole di pietre), ma nel cuore dell’uomo:
le norme di un codice legale vengono sostituite dalla grazia, l’esigenza
esteriore dalla conoscenza interiore; il peccato dal perdono; il timore dalla
comunione intima e amorosa. L’oracolo suppone che l’alleanza antica non può
essere più ormai “riparata”. L’intera vecchia struttura d’Israele è superata da
una nuova forma d’agire di Dio che crea nell’uomo le condizione per la fedeltà
e la conoscenza del Signore.
Il testo utilizza il verbo “offrire” (greco: prosphérô) [v.7] riferendolo a Cristo.
Esso è un tipico verbo sacerdotale che evoca i doni e i sacrifici che ogni
sacerdote offriva per i peccati. Nel caso di Gesù però, il vocabolario rituale
per i peccati sparisce e si parla solo della sua morte, vissuta nel dolore e
nella solitudine, tra grida e lacrime. In altre parole, l’autore della lettera
agli Ebrei afferma che l’offerta sacerdotale di Gesù è la sua preghiera intensa
di fronte alla minaccia della morte. E’ con questo atteggiamento che Gesù vive
la sua estrema solidarietà con l’umanità e con esso realizza la mediazione sacerdotale.
Il testo non dice che Gesù chiese semplicemente di essere liberato dalla morte,
ma che “offrì” “presentò” (greco: prosphérô),
preghiere e suppliche a chi poteva liberarlo dalla morte. L’autore fa molta attenzione
nell’utilizzare un vocabolario sacerdotale, poiché il suo interesse è
presentare Gesù, solidale con gli uomini nel dolore e nella morte, come unico
ed autentico sacerdote. Gesù è sacerdote definitivo per mezzo della sua piena
solidarietà storica con l’umanità sofferente. Di fatto, il Figlio non ottiene
un salvacondotto che lo libera dalla sua condizione storica, ma attraverso la sofferenza
impara, cioè realizza e vive fino all’estremo la sua obbedienza – fedeltà al
Padre, della quale la preghiera è fonte ed espressione: “pur essendo Figlio,
imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì” (v.8). Si afferma anche che “fu
esaudito” (v.7b). Il Padre lo ascoltò, non liberandolo dalla morte fisica, ma conducendolo
al trionfo su quella condizione di schiavitù e timore che contraddistingue l’impero
della morte come allontanamento da Dio. In un contesto di sofferenza mortale,
Cristo realizza la sua mediazione ed offerta sacerdotale. Per questo “reso
perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”
(v.9). La perfezione di Cristo, della quale parla il testo, non di tipo etico o
morale, raggiunta attraverso una fedeltà eroica, ma attraverso il pieno
compimento del progetto di salvezza, realizzato per mezzo della trasformazione
interiore dell’umanità di Gesù, che così arriva a convertirsi in fonte di
salvezza definitiva per tutti i credenti.
Il vangelo (Gv 12,20-33) ci introduce nel mistero della Pasqua di
Gesù, dalla prospettiva tipica del quarto vangelo, sviluppando sette concetti o
immagini: (1) Il simbolo del “chicco di grano” (v.24) esprime in forma viva come
la morte di Gesù sfocia nella gloriosa fecondità della risurrezione; (2) l’antitesi “perdere
la vita per guadagnarla” (v.25) è l’espressione radicale con la quale Gesù
presenta il mistero della sua morte, per amore ai suoi e come fonte di vita
nella storia dell’umanità; (3) l’Ora (v.27) è un concetto teologico di
Giovanni che si riferisce alla morte di Gesù intesa come parte del piano di
salvezza di Dio. L’intero ministero e tutta la predicazione di Gesù si dirigono
verso “l’Ora”, cioè verso la croce, che è allo stesso tempo umiliazione e
gloria, passaggio dalla morte alla vita; (4) la glorificazione (v.28) è il termine
che Giovanni usa per parlare della morte e della resurrezione di Cristo: il
Padre mostra la sua gloria, cioè mostra il suo potere salvifico a favore degli
uomini, in Cristo crocifisso, presenza eterna della gloria divina; (5) l’elevazione –
esaltazione della croce evoca la crocifissione di Gesù nella sua
materialità dolorosa e nella sua condizione di gloria, come forza d’amore che
attrae tutta l’umanità al Salvatore: “Io, quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me” (v.32); (6) la voce dal cielo (vv.28-30) è il segno
della presenza del Padre nel dramma del dolore del Figlio, che assicura agli
uomini la salvezza nel loro cammino di morte e di gloria; (7)il “giudizio”
definitivo del male (v.31) evoca il paradosso della croce: precisamente lì dove
sembrano trionfare le forze tenebrose, il mondo, il dominatore di questo mondo
è sconfitto ed espulso fuori. Cristo crocifisso è il giudice e il re che vince
il male per sempre.