Cristo, soffrendo, imparò l'obbedienza (Eb 5,7-9)

 

         Questo testo forma parte di quella splendida omelia, opera di un autore anonimo, proveniente probabilmente da un ambiente giudeo-cristiano, conosciuta come la “lettera agli Ebrei”. Il soggetto principale, nel testo, è Cristo, del quale si affermano tre azioni fondamentali: “Offrì” preghiere e suppliche con forti grida e lacrime, “imparò” ad obbedire soffrendo e “divenne causa di salvezza”. I tre verbi (“Offrire”, “imparare”, “divenire…”) descrivono lo sviluppo storico e spirituale di Gesù di Nazaret, dalla immersione dolorosa e tragica nella morte, attraverso la fedeltà e l’obbedienza a Dio, fino alla realizzazione piena dell’opera di salvezza in favore dei credenti. Il v. 7, utilizzando lo schema tipico dei salmi di lamentazione (crisi del credente – ascolto da parte di Dio), evoca la condizione di Cristo di fronte alla morte. Il versetto ricorda anche l’umiliazione – esaltazione del Servo del Signore (Is 52,13-53,12) e l’inno cristologico di Fil 2,6-11, che afferma l’obbedienza di Cristo fino alla morte di croce e la sua esaltazione da parte di Dio.

   Il testo utilizza il verbo “offrire” (greco: prosphérô) [v.7] riferendolo a Cristo. Esso è un tipico verbo sacerdotale che evoca i doni e i sacrifici che ogni sacerdote offriva per i peccati. Nel caso di Gesù però, il vocabolario rituale per i peccati sparisce e si parla solo della sua morte, vissuta nel dolore e nella solitudine, tra grida e lacrime. In altre parole, l’autore della lettera agli Ebrei afferma che l’offerta sacerdotale di Gesù è la sua preghiera intensa di fronte alla minaccia della morte. E’ con questo atteggiamento che Gesù vive la sua estrema solidarietà con l’umanità e con esso realizza la mediazione sacerdotale. Il testo non dice che Gesù chiese semplicemente di essere liberato dalla morte, ma che “offrì” “presentò” (greco: prosphérô), preghiere e suppliche a chi poteva liberarlo dalla morte. L’autore fa molta attenzione nell’utilizzare un vocabolario sacerdotale, poiché il suo interesse è presentare Gesù, solidale con gli uomini nel dolore e nella morte, come unico ed autentico sacerdote. Gesù è sacerdote definitivo per mezzo della sua piena solidarietà storica con l’umanità sofferente. Di fatto, il Figlio non ottiene un salvacondotto che lo libera dalla sua condizione storica, ma attraverso la sofferenza impara, cioè realizza e vive fino all’estremo la sua obbedienza – fedeltà al Padre, della quale la preghiera è fonte ed espressione: “pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì” (v.8). Si afferma anche che “fu esaudito” (v.7b). 

Il Padre lo ascoltò, non liberandolo dalla morte fisica, ma conducendolo al trionfo su quella condizione di schiavitù e timore che contraddistingue l’impero della morte come allontanamento da Dio. In un contesto di sofferenza mortale, Cristo realizza la sua mediazione ed offerta sacerdotale. Per questo “reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (v.9). La perfezione di Cristo, della quale parla il testo, non di tipo etico o morale, raggiunta attraverso una fedeltà eroica, ma attraverso il pieno compimento del progetto di salvezza, realizzato per mezzo della trasformazione interiore dell’umanità di Gesù, che così arriva a convertirsi in fonte di salvezza definitiva per tutti i credenti.