(Ciclo
b)
1Gv 4,7-10
La liturgia della parola di questa domenica costituisce
un invito ad approfondire la comprensione del mistero dell’amore teologale. La prima lettura mostra la dimensione universale
dell’amore di Dio che non fa distinzione di persone; nella seconda lettura, Giovanni afferma che “Dio è amore” e nel vangelo, Gesù invita a rimanere nel suo
amore e ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amato.
La seconda lettura (1Gv
4,7-10) si riassume nell’affermazione centrale del passaggio: “Dio è
amore” (v.8). Giovanni non pretende dare una spiegazione statica o metafisica
di Dio, ma parla di Lui in chiave di dinamismo e di donazione. Per questo
afferma: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad mare Dio, ma è lui che
ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati” (v.10). Giovanni non ci invita a conoscere una definizione astratta,
ma a contemplare una “relazione”. Questo è l’amore: Dio ha preso l’iniziativa
di avvicinarsi all’umanità e di offrirgli gratuitamente la vita attraverso suo
Figlio Gesù Cristo. In Cristo, Dio ci ha dato la vita e si è consegnato a noi
nell’amore e per l’amore. Con ragione Giovanni esorta: “Carissimi, amiamoci gli
uni gli altri, perché l’amore è da Dio (he
agape ek theou estin): chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (v.7).
L’amore che Dio infonde nel discepolo di Cristo è creativo e fecondo. Solamente
chi ha vissuto per esperienza questo amore potrà generare nuove concretizzazioni
dell’amore. Santa Teresa di Gesù diceva: “...non arriveremo mai ad avere
perfetto amore del prossimo, se non lo faremo nascere dalla medesima radice
dell’amore di Dio” (Quinte Mansioni 3,9).
Il vangelo (Gv 15,9-17) comincia con una solenne affermazione di
Gesù “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” (v.9). Il modello e
la fonte dell’amore di Gesù per i discepoli è l’amore tra il Padre e il Figlio.
Gesù ci fa oggetti dello stesso amore che caratterizza il mistero di Dio come
dinamismo infinito di vita e di comunione. Un amore come questo, esige dagli
uomini una risposta libera e concreta: “Se osserverete i miei comandamenti,
rimarrete nel mio amore, come io ho osservato
i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (v.10). La
risposta consiste nell’osservare i comandamenti di Gesù come lui ha osservato
quelli del Padre. Il discepolo è invitato a vivere con la stessa fedeltà e obbedienza con la quale Gesù compì sempre
la volontà del Padre. In realtà la vita cristiana non è niente altro che imitare e prolungare in mio la comunione
che unisce il Padre al Figlio e che storicamente si è manifestata nell’amore di
Cristo verso i suoi discepoli. Vivere così costituisce una fonte costante di
serenità e di gioia nella vita del credente: “Questo vi ho detto perché la mia
gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (v.11). Gesù parla della “sua”
gioia, cioè della gioia che egli stesso ha sperimentato nella sua vita mentre
viveva in obbedienza e fedeltà al Padre.
Nel
v. 12, Gesù proclama il “suo” comandamento: “Questo è il mio comandamento: che
vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. I comandamenti (al plurale),
dei quali aveva parlato prima, si convertono ora nel “mio comandamento”(al
singolare). Gesù lo chiama “il mio comandamento” perché lo ha consegnato ai
suoi con la sua parola, però soprattutto con il suo esempio, la cui espressione
più alta si è manifestata sulla croce: “Nessuno ha un amore più grande di
questo dare la vita per i propri amici” (v.13). Il comandamento più che un
imposizione è una rivelazione. L’amore, prima di essere un comandamento, è la
rivelazione dei legami che uniscono il Padre al Figlio e il Figlio a noi. Se
Gesù invita ad amarci, come lui ci ha amato, non sta imponendo una nuova norma.
L’amore non si impone, nessuno ama per obbligazione. Con queste parole, Gesù sta
rivelando all’uomo l’unico cammino che lo realizza. “L’uomo è chiamato ad
amare, non per essere più buono, ma per essere più uomo” (J.L. Martin Descalzo).
L’intensità e la qualità di questo amore che porta alla pienezza è l’amore di
Gesù per i suoi. Gesù è la fonte e il modello e il discepolo si sforzerà di
avvicinarsi quanto più possa all’ideale proposto. Amare così significa
prolungare in noi l’amore di Cristo.
Il
discepolo può arrivare ad amare così solamente se vive in comunione con l’amore che Gesù gli
comunica; quell’amore esistente tra il
Padre e il Figlio: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi” (v.9).
Il discepolo ama perché amato e si sa amato da Gesù con un amore intenso,
segnato dalla comunione e della gratuità. Gesù, in effetti, chiama i suoi
discepoli “amici”, visto che ha rivelato loro l’intero disegno del Padre sull’uomo
e sul mondo (v.15: “...tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a
voi”) e perché il suo amore precede la
decisone di ognuno (v.16: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi...”).
Questa consapevolezza della gratuità amorosa dell’elezione da parte di Gesù. Assunta
con profondità, libera il discepolo dall’autosufficienza, poiché è stato
oggetto di una chiamata gratuita e immeritata e dallo scoraggiamento, poiché il
suo amore da la sicurezza della presenza e dell’aiuto del Maestro nella
missione di dare frutti d’amore per il mondo (v.16: “...vi ho costituiti perché
andiate e portiate frutto”). L’esistenza cristiana, in effetti, come la vita
stessa di Gesù, non è solo gratuità o comunione, ma un mistero che si estende e
diffonde a tutti gli uomini. E’ amore in espansione. Un amore che nasce come
frutto della comunione con Gesù e del dinamismo dello Spirito che Egli dona al discepolo.