(Ciclo C)
Baruc 5,1-9
Il tempo liturgico dell’Avvento è un
momento privilegiato per superare le nostre nostalgie e vincere il pessimismo
che investe la nostra esistenza. La liturgia di questa seconda domenica è un
gioioso annuncio di speranza e un allegro canto alla novità che dio può
generare in mezzo alle oscurità della storia umana. Baruc annuncia la
trasformazione di Gerusalemme e il ritorno alla terra d’Israele degli esiliati,
che formano una solenne processione verso la libertà (prima lettura); Paolo prega pieno di gioia, confidando nel fatto
che Dio porterà a termine felicemente la opera che ha incominciato nei
cristiani di Filippi (seconda lettura);
Luca annuncia con gioia che “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (vangelo).
La prima lettura (Bar 5,1-9) è tratta da un piccolo libro dell’Antico
Testamento, scritto in greco, intorno al II secolo a.C. e attribuito a Baruc,
il segretario del profeta Geremia (Ger 32.36.45). Per il suo contenuto il libro
consta di quattro sezioni. Inizia con un prologo storico (Bar 1,1-14) che, in
forma fittizia, ambienta lo scritto durante l’epoca dell’esilio, segue poi una
lunga preghiera penitenziale (Bar 1,15-3,8); un elogio alla sapienza (Bar
3,9-4,4); e infine un oracolo di restaurazione, in forma di omelia profetica. Questa
ultima parte comincia con un lamento di Gerusalemme che è rimasta senza figli;
in seguito però si annuncia che le sue suppliche raggiungeranno il favore dell’Altissimo,
che la consolerà, restituendole la gioia e lo splendore (Bar 4,5-5,9). Il testo
che viene proclamato oggi nella liturgia è tratto da questa ultima sezione del
libro.
Il profeta si rivolge a Gerusalemme,
la città santa, personificata come una matrona addolorata che indossa un vestito
miserabile e di lutto perché ha perso i suoi figli. La invita a indossare un
vestito di festa e di gioia che Dio stesso le concede (Bar 5,1). Offrire a
qualcuno un vestito è espressione di protezione e amore benevolo. Pensiamo al
Signore che fa delle tuniche di pelle per vestire Adamo ed Eva dopo il loro
peccato (Gn 3,21), o a Giacobbe che manda a cucire una tunica con maniche
larghe per Giuseppe, il suo figlio prediletto (Gn 37,3-4). Le parole di Baruc costituiscono un gioioso messaggio di
fiducia e di speranza. La vita e la felicità sono ancora possibili, dopo l’amarezza
e l’oscurità. Gerusalemme può continuare a vivere e a sperare, poiché non tutto
è perso. Dio possiede sempre un’ultima parola di consolazione di speranza per
gli uomini. Le immagini utilizzate dal profeta ci ricordano quelle di Isaia,
che descrive Gerusalemme vestita da Dio con un abito di salvezza e un manto di
liberazione come una sposa (Is 61,10): “Avvolgiti nel manto della giustizia di
Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché dio mostrerà il
tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo” (Bar 5,2-3).
In un secondo momento, il profeta
invita Gerusalemme a collocarsi in un luogo elevato e a contemplare una
grandiosa processione che lentamente ritorna dell’esilio e s’incammina verso la
libertà. Sono i suoi figli che ritornano dall’esilio “riuniti da occidente a
oriente, alla parola del santo, esultanti per il ricordo di Dio” (Bar 5,5). Quella
interminabile folla rappresenta non solo l’Israele storico, ma tutta l’umanità
che ha ascoltato la voce di Dio e si è messa in cammino verso un avvenire di
luce e di felicità. Questa umanità però non cammina da sola. Dio l’accompagna
con la sua misericordia e protezione benevola. Il cammino per il quale
transitano è preparato dal Signore, che appiana i sentieri e fa che l’ombra
degli alberi copra il popolo: “Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta
montagna e le rupi secolari... , perché Israele proceda sicuro sotto la gloria
di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con
la misericordia e la giustizia che vengono da lui” (Bar 5,7-8).
La seconda lettura (Fil 1,4-6.8-11) costituisce l’introduzione della
lettera di San Paolo ai Filippesi. L’Apostolo è convinto che Dio porterà a
termine felicemente l’opera che ha iniziato in quella comunità (v.6). Per
questo rende grazie a Dio con immensa gioia, ricordando i servizi che i
Filippesi hanno offerto nella diffusione del vangelo (v.5). Allo stesso tempo
però prega che la loro carità cresca continuamente e diventi principio di
discernimento: “E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più
in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere
sempre il meglio...” (vv.9-10a). L’amore è uno strumento prezioso che permette
di conoscere il senso della storia e della vita. C’è solo un cammino per
prepararsi alla venuta del “giorno di Cristo”: la carità. Solo con una
conoscenza nuova di Dio, alimentata dall’amore, è possibile la vita cristiana. Solo
attraverso una forma di pensare e di agire animata dall’amore, gli uomini si
potranno presentare di fronte al Signore nel “giorno di Cristo”, “integri e
irreprensibili” (v.10), “ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono
per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio” (v.11).
Il vangelo (Lc
3,1-6) ci riporta all’inizio della missione di Giovanni il Battista, collocata
da Luca in un momento storico concreto. Ci situa nell’anno quindicesimo dell’imperatore
Tiberio, ci da i nomi dei procuratori e dei governatori romani e menziona i
pontificati dei sommi sacerdoti Anna e Caifa in Israele. Il quel momento
storico ben definito, in mezzo ad ombre e miserie, succede qualcosa di
inaspettato: “la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel
deserto” (v.2). Il testo greco in verità non utilizza il verbo “scendere” ma “avvenne”.
Si tratta di un autentico avvenimento della parola di Dio, che prima riveste
con potenza l’ultimo dei profeti e poi s’incarna in Gesù Cristo, il Figlio di
Dio. La Parola si manifesta nel “deserto”, un luogo di sterilità e di morte, di
passaggio e di preparazione; una parola che non ritornerà a Dio senza prima
aver trasformato questo deserto, poiché, come dice Isaia, la parola di Dio è
come la pioggia e la neve che scendono dal cielo e ad esso ritorneranno solo
dopo aver bagnato, fecondato e fatto germinare la terra, affinché dia il seme
al seminatore e pane all’affamato (Is 55,9-10).
Questo “avvenimento” della Parola in
mezzo al deserto sconsolante e tante volte incomprensibile della storia è
annunciato ed interpretato in primo luogo da Giovanni il Battista. Per decifrare
e percepire la presenza di Dio è necessario ascoltare il suo profeta; per poter
scoprire più tardi il Figlio di Dio nell’umile carpentiere di Nazaret è
necessaria la voce di Giovanni il Battista. Giovanni ci aiuta a rispondere all’azione
di Dio e, per questo, non dubita nell’esortare con le antiche parole del
profeta Isaia: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni
burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi
siano diritti; i luoghi impervi spianati” (vv.4b-5). Giovanni annuncia che è
arrivato il momento in cui sta per essere tracciato un cammino rettilineo sugli
abissi dell’assurdo e i monti dell’orgoglio e dell’idolatria. Questo cammino
conduce alla salvezza che Dio è pronto ad offrire in Gesù di Nazaret.
La predicazione del battista
anticipa quella di Cristo. Per il profeta del deserto è indispensabile che gli
uomini ricevano il “battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (v.3).
Egli stesso offre questa opportunità, attraverso il gesto purificatore e
penitenziale dell’immersione nell’acqua. Entrare nell’acqua significa morire;
uscire da essa significa ritornare a vivere. Solo accettando il battesimo di
Giovanni, si comincia a preparare la via al Signore. E’ necessario cambiare la
rotta della vita e camminare in una maniera nuova. Gli uomini debbono aprire i
loro occhi e il loro cuore, debbono cambiare forma di pensare e di agire,
affinché il Salvatore, inviato da Dio, diventi finalmente visibile. La citazione
di Isaia, che Luca pone in bocca al Battista, termina con queste parole: “Ogni
uomo vedrà la salvezza di Dio!” (v.6). Gli occhi di “ogni uomo”, senza
eccezioni né esclusioni, si apriranno e potranno contemplare la mano poderosa
di Dio che agisce e salva. La vita sarà trasformata, il pessimismo costante di
fronte alla propria esistenza e la sfiducia rispetto al cuore dell’uomo
scompariranno.
L’Avvento ci invita così a preparare
le vie del Signore fedele che porterà felicemente a termine la sua opera (seconda lettura), facendo ritornare gli
esiliati (seconda lettura) e
fecondando il deserto della vita con la presenza salvifica di Gesù Cristo (vangelo). Durante le quattro settimane
che precedono il natale, i testi biblici ci invitano a far rivivere la speranza
e la capacità di sognare un mondo nuovo, fiduciosi nel potere di Dio. E questo
è possibile solo quando “raddrizzeremo” i sentieri della nostra esistenza,
ritornando al Signore e convertendoci alla sua Parola.