QUARTA
DOMENICA D’AVVENTO
(Ciclo C)
Questa ultima domenica d’avvento è un’autentica liturgia di preparazione alla celebrazione della nascita del Signore. Il profeta Michea proclama: “Da te (Betlemme) mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele” (Mic 5,1); Cristo, nella lettera agli Ebrei, afferma: “Ecco io vengo...per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10, 7); ed Elisabetta, nella pagina del vangelo, esclama: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,43). Celebriamo una venuta gioiosa: l’entrata di Dio nella nostra storia e nella nostra carne. Fissiamo i nostri occhi soprattutto su Maria, la Madre del Messia e la nuova Arca dell’Alleanza, per vivere il mistero della nascita di Gesù con la semplicità della fede e con un cuore aperto a Dio e agli altri.
La prima lettura
(Mic 5,1-5) è tratta dalla profezia di Michea,
un profeta che visse nell’ottavo secolo a.C. e che con un profondo senso della giustizia
denunciò la corruzione, la violenza e l’oppressione che caratterizzava la
storia del suo popolo in quell’epoca. In mezzo a questo panorama desolante, il
profeta lancia un grido si speranza. Come compimento dell’antica profezia di
Natan (2Sam 7), una nuova luce scaturirà da Betlemme, la città del re Davide. Apparirà
una presenza nuova e salvifica di Dio, nella linea della dinastia davidica,
cioè in mezzo alla storia umana con le sue luci e le sue ombre. Ad una tappa di
sofferenza seguirà il ritorno di un “resto” e la nascita di un bambino (v.2). “...
Quando colei che deve partorire partorirà” (v.2), sorgerà un pastore che “starà
là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo
Dio” (v.3). Il bambino che nascerà sarà “pastore”, come Davide, il re pastore. Egli
porterà la pace e la giustizia a Israele. “... E tale sarà la pace” (v.4). Il
testo si conclude con un’allusione allo “shalom”, alla pace che solamente il
Messia potrà offrire definitivamente.
La seconda lettura
(Eb 10,5-10) è una splendida meditazione sul
mistero dell’incarnazione. L’autore della Lettera agli Ebrei, a partire da
alcuni versetti del salmo 40, presenta la novità dell’evento storico di Cristo.
I sacrifici e gli olocausti dell’antica alleanza, segni efficaci della salvezza
offerta agli uomini, sono sostituiti dal “corpo” di Gesù, che entra dentro la
storia umana e si offre per la salvezza di tutti. Il mistero personale di
Cristo, uomo e Dio, rende possibile un nuovo incontro di Dio con l’umanità. Non
è più attraverso un freddo rituale, ma attraverso la presenza viva e umana di
un corpo “che noi siamo stati santificati” (v.10).
Il vangelo (Lc 1,39-56) racconta l’incontro tra Maria ed
Elisabetta. In esso la Madre del Signore è presentata come nuova arca dell’alleanza. La reazione di Elisabetta: “Benedetta tu
tra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del
mio Signore venga a me?” (Lc 1,42-43), rappresenta lo stupore della comunità
credente di fronte all’arca di Dio in mezzo al suo popolo e, pertanto, di
fronte alla certezza che l’uomo è chiamato da Dio ad una alleanza perfetta e
definitiva. Il racconto della visitazione ricorda 2Sam 6,9, dove leggiamo che
Davide, mentre l’arca dell’alleanza avanzava verso Gerusalemme, esclamò: “Come
potrà venire da me l’arca del Signore?”. E’ la stessa frase di Elisabetta, solo
che l’espressione “arca del Signore” è stata sostituita con “madre del Signore”.
Maria è presentata così come segno della vicinanza amorosa di Dio. Lei, come
nuova arca, porta nel suo grembo Cristo, Messia di una alleanza nuova ed eterna.
Lei è la nuova terra che Dio feconda con il suo Spirito (Lc 1,35a; Gn 1,2; Ez
37,14; Sal 104,30), il nuovo tabernacolo dell’alleanza, coperto dall’ombra dell’Onnipotente
(Lc 1,35b; Es 40,34; Sal 91,1; 121,5); il nuovo Israele che dialoga con Dio e
compie la sua alleanza per sempre (Lc 1,34.38; Es 19,8).
Elisabetta
chiama Maria “madre del mio Signore”. Ha scoperto che Maria appartiene alla
nuova realtà del regno, che è entrata nel mondo nuovo della vita di Dio. Maria ha
creduto e per mezzo della fede porta la stessa vita divina nel suo grembo. Ed
Elisabetta continua: “Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo
grembo!”. Nella Bibbia, la benedizione di Dio è sinonimo di vita, di fecondità,
di pace e di salvezza. Gesù è la benedizione piena e definitiva che Dio ha
donato agli uomini. Gesù, che Maria porta nel grembo, è il Benedetto. Per questo
anche lei, sua madre, è benedetta, in quanto è portatrice della vita definitiva
per il mondo. Lei è benedetta tra le
donne, cioè, tra chi genera e dona la vita nella storia. Alla fine
Elisabetta proclama la grande beatitudine di Maria: “Beata te che hai creduto
(in greco: he pisteusasa, la
credente)!” (Lc 1,45). E’ lei la prima dei beati (cf. Lc 6,20-21), la prima dei
poveri di questo mondo che, in mezzo alla loro stessa povertà e al loro stesso
pianto, hanno ricevuto la grazia di Dio e hanno risposto con fede e con spirito
aperto ai piani di Dio. Maria è di Dio. Per questo è grande e beata: ha
ricevuto il dono di Dio, ha creduto e, appoggiata su questa fede, può
presentarsi come portatrice di Dio tra gli uomini.
Maria è donna della nostra storia, aperta a Dio e agli uomini. Ha vissuto sempre in un atteggiamento di gratuità e donazione. Per questo il suo cantico di lode, il Magnificat, è la preghiera dei poveri del Signore, una lode riconoscente per la presenza di Dio che salva il suo popolo. Nel canto di Maria si celebra l’atto di misericordia supremo e definitivo, realizzato da Dio in favore degli uomini, attraverso la nascita, la morte e la resurrezione – esaltazione del Messia Signore. Maria riceve con umiltà le parole di saluto e benedizione di Elisabetta. Non nega il mistero, non rifiuta la forza e la gioia della grazia. Non nasconde ciò che Dio ha realizzato nella sua vita. Maria prega: si apre a Dio, si lascia sorprendere dalla gioia e dalla presenza della grazia divina; e risponde restituendo a Dio la gloria e la lode che Elisabetta le ha offerto: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva” (Lc 1,47-48). L’intera esistenza di Maria è un canto di lode a Dio che ha operato cose grandi nella sua via: “D’ora in poi tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (Lc 1,48-50). La Vergine, in nome di tutta l’umanità, si riconosce amata da Dio che è il suo Signore e, riconoscente per tutto questo, canta.