(Ciclo B)
Apocalisse 1,5-8
Nell’ultima
domenica dell’anno liturgico, la Chiesa celebra la regalità di Cristo, Signore
e Salvatore di tutta l’umanità. Il regno di Cristo è un regno d’amore, di
giustizia e di pace, che si fonda nella rivelazione dell’amore di Dio e si
esprime attraverso l’instaurazione di un nuovo ordine di rapporti tra gli
uomini. Il regno di Cristo è l’inaugurazione, da parte di Dio, di un progetto
alternativo, all’interno della storia. Questo progetto è stato affidato dal
Padre al Figlio dell’Uomo e al popolo dei credenti. La festa di Cristo Re è,
pertanto, una chiamata a collaborare attivamente alla creazione di una nuova
umanità.
La prima lettura
(Dn 7,13-14) ci colloca di fronte ad uno dei
testi fondamentali del libro di Daniele. Il settimo capitolo, infatti, segna
l’inizio della seconda parte dell’opera, la più difficile e oscura,, che
contiene le celebri visioni apocalittiche di Daniele. Dopo l’apparizione di
quattro bestie mostruose che escono dal mare (Dn 7,1-8), che rappresentano i
quattro imperi che, dal tempo di Nabuccodonosor, opprimevano il popolo eletto,
Daniele contempla come l’ultima bestia, che era “terribile, spaventosa e forte”
(Dn 7,7), viene giudicata da Dio (Dn 7,9-12). E’ questa un’allusione al re
pagano Antioco Epifane, che dominò su Israele dal 175 al 164 prima di Cristo.
Il suo regno stava imponendo agli ebrei la cultura ellenistica nella sua
totalità. Si imponeva con violenza sul popolo, invadendo e minacciando perfino
il campo religioso, fino al punto di perseguitare gli ebrei che restavano
fedeli alla religione dei padri. Ogni impero, per sua propria natura, tende ad
auto – divinizzarsi e ad imporsi con la forza in ogni campo dell’esistenza,
incluso nell’aspetto culturale e religioso.
Ad
ogni impero, per forte che sia, segue un altro, a tal punto che il ciclo dei
poteri oppressori sembra non aver fine. Nel libro di Daniele, comunque, la
serie si rompe grazie ad un intervento di Dio. Questa è la grande speranza che
il libro genera. Solo Dio può porre fine al mostro crudele e terribile del
potere inumano. Daniele, in effetti, contempla che di fronte al trono di Dio
“la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare sul fuoco”
(Dn 7,11). E’ in questo momento che Daniele contempla la visione del Figlio
dell’Uomo. (vv.13-14). Originariamente
questa figura rappresentò tutto il popolo dei poveri e dei giusti che
ricevevano da Dio il potere definitivo. La visione del Figlio dell’Uomo che
riceve “potere, gloria e regno”, e che è servito da “tutti i popoli, nazioni e
lingue” (Dn 7,14), rappresenta il trionfo dei santi del popolo eletto, per i
quali si annuncia la promessa di una liberazione definitiva da parte di Dio.
Nella
letteratura giudaica posteriore e negli scritti rabbinici, comunque, il concetto di “regno dei santi”
del quale parlava il libro di Daniele si centrò nella figura di un re
definitivo, con qualità messianiche. La misteriosa figura giunse ad evocare,
pertanto, il Messia. Mentre le bestie uscivano dal “mare”, simbolo del
disordine e del male, il Figlio dell’Uomo viene “sulle nubi del cielo” (Dn
7,13), cioè dal mondo della trascendenza divina. Si avvicina al “vegliardo”,
cioè alla presenza del Dio eterno e da lui riceve il potere regale. Daniele alla
fine ci indica le qualità del regno di questo misterioso personaggio: “Il suo
potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale, che non
sarà mai distrutto” (Dn 7,14). Il regno del Messia è universale ed eterno; si
contrappone ai poteri inumani di questo mondo e gioisce per sempre della
protezione di Dio.
La seconda lettura
(Ap 1,5-8) ci offre un bellissimo testo sulla
gloria e la signoria di Cristo, ispirato e illuminato dalla profezia di Daniele
che tanto aiutò la Chiesa primitiva nell’affermare la sua fede nella parusia e nella vittoria finale di
Cristo. L’autore dell’Apocalisse da a Cristo alcuni titoli di grande spessore
teologico (Ap 1,5): Gesù Cristo è il “testimone fedele” che ha rivelato agli
uomini il mistero di Dio che è amore; “il primogenito dei morti” che precede
una moltitudine di fratelli nella gloria divina; “il principe dei re della
terra”, il cui potere trasforma effettivamente tutta la storia umana secondo il
progetto di Dio. Egli è “Colui che ci ama”, nel presente di ogni giorno; “Colui
che... ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue”, attraverso cioè il
suo sacrificio liberatore a favore della causa di Dio; “Colui che... ha fatto
di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre”, stabilendoci nella storia
come collaboratori attivi ed efficaci del suo regno (Ap 1,6). Dio “l’Alfa e l’Omega”
della storia, principio e fine di tutto ciò che esiste (Ap 1,8) presenta Cristo
come l’onnipotente, che alla fine della storia si rivelerà come Signore e Giudice
universale, “sulle nubi” come il Figlio dell’Uomo di Daniele. Perfino “quelli
che lo trafissero”, cioè i suoi nemici storici, e “tutte le nazioni della terra
si batteranno per lui il petto” (Ap 1,7).
Il vangelo (Gv 18,33b-37) ci conduce fino al pretorio di Pilato
durante la passione del Signore. La domanda di Pilato risulta centrale per la
teologia del vangelo di Giovanni: “Tu sei il re dei Giudei?” (v.33b). Gesù
risponde affermativamente, spiegando che il suo regno non è di questo mondo (in
greco: ouk ek tou kosmou) [v.36]. L’espressione
greca vuole indicare che il suo regno non di origine terrena, né si manifesta
allo stesso modo dei regni della terra. Gesù non cerca la propria gloria, non
possiede guardie per difendersi, non s’impone dispoticamente (v.36). Il suo
regno viene dall’alto (cfr. prima lettura).
Gesù afferma chiaramente che egli è re (v.37). Di fronte a Pilato, che
rappresenta il potere di questo mondo, Gesù dichiara che la sua missione è
quella di “rendere testimonianza alla verità” (v.37). Il suo regno si
costruisce e si estende nella misura in cui gli uomini accettano la “verità”,
termine che nel vangelo di Giovanni indica la piena rivelazione della bontà del
Padre. Chi accetta questa radicale verità che Gesù ci ha rivelato e la colloca
come fondamento di tutta la sua esistenza, accetta il regno di Cristo. A partire
da Gesù, il potere inumano terreno è superato dall’entrata dell’amore nel
mondo.
La
signoria di Cristo è donazione di amore totale e completa, “facendosi
obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). Cristo è re nella
misura in cui egli non è tutto ciò che nel mondo si designa con il termine di
re. Gesù è re in quanto contrappone l’amore al potere. Per questo, chi accetta
Cristo come re, è chiamato a negare la “verità” del potere, di superare la sua
logica impositiva ed opprimente. La Chiesa stessa partecipa del potere di
Cristo non servendosi dell’umanità, ma servendo l’umanità (Mc 10,41-45).
Ciascun cristiano vive il mistero della regalità di Cristo, vivendo alla luce
del regno di Dio, un regno terno che si oppone ad ogni tipo di dominio e
violenza (prima lettura), un regno d’amore e di salvezza definitiva (seconda lettura), un regno di verità e
di giustizia (vangelo).